Il passaggio tra il XX e il XXI secolo è segnato da un intensa ripresa di flussi migratori – a larga scala e a lungo raggio – che si sono proposti sulla scena geopolitica con dimensioni, rapidità e pervasività mai registrate nella storia della umanità. Le dimensioni del fenomeno trovano la propria origine innanzitutto nella demografia “esplosiva” che ha segnato l’ultimo secolo, tempo nel quale un generale innalzamento del reddito (pur restando così squilibrato nella sua distribuzione) ha generato effetti comunque significativi sulle condizioni di salute e sulla mortalità della popolazione che hanno fatto saltare i vincoli “malthusiani” alla crescita.

La intensità dei processi è invece manifestazione evidente delle nuove condizioni che l’evoluzione delle tecnologie ha determinato tanto nella trasmissione delle informazioni quanto nella stessa mobilità delle persone. Le cause scatenanti di questi processi, che demografia e tecnologia hanno reso possibili su così vasta scala e con tanta rapidità, sono riconducibili a due principali ordini di fattori, uno di natura economica l’altro di natura istituzionale. Il primo e principale fattore è quello rappresentata dalla forbice delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito a scala globale generate dallo sviluppo capitalistico che ha avuto origine nel XVIII secolo in Europa.

Il secondo (ma non meno determinante) fattore è rappresentato dal superamento (drammatico nel suo manifestarsi e, in larga misura ancor più nelle sue conseguenze) dell’assetto dei poteri e degli equilibri politici e istituzionali che si è prodotto a seguito della caduta verticale del sistema di economia pianificata che aveva sostenuto il blocco geopolitico guidato dalla Unione Sovietica. L’Europa si è trovata al centro di questo processo globale di ripresa delle migrazioni a lungo raggio che la ha investita pesantemente prendendola, per così dire su due fronti. Un primo fronte, in qualche misura interno, riguarda i flussi in provenienza dall’est Europa (stati dell’Europa centro-orientale, ex repubbliche sovietiche continentali e del Caucaso) e dalla penisola balcanica (anche in relazione al lungo conflitto che ha seguito il parallelo disfacimento della repubblica Jugoslava) interessando popolazione prevalentemente femminile occupata in lavori di cura, lavoratori a bassa qualificazione nei settori agricoli e delle costruzioni. Un secondo fronte, mediterraneo, si è invece manifestato soprattutto con l’Africa, in parte seguendo relazioni postcoloniali di Paesi come Francia e – in scala più ridotta – Italia, riversando la crisi climatica ed economica delle agricolture sub-sahariane in flussi che attraverso gli stati nord-africani si sono riversati sulla sponda nord del Mediterraneo.

In questo contesto prende avvio Arrival Regions che punta a favorire l’integrazione nelle aree rurali dei cittadini provenienti da paesi extraeuropei. Arrival Regions sostiene e promuove lo sviluppo di pratiche di innovazione sociale che rendano il processo di integrazione nelle aree rurali una storia di successo, valorizzando le competenze degli attori territoriali e sostenendo l’inclusione sociale dei cittadini non europei. Nell’ambito del Progetto Arrival Regions la ricerca condotta da Uncem Piemontesi è rivolto alle politiche di integrazione di questi cittadini nei contesti rurali e montani dell’Italia, con una particolare focalizzazione sul Nord Ovest italiano (Arco Alpino Occidentale e Appenino Settentrionale). La ricerca ha accompagnato una azione desk di valutazione critica delle fonti primarie e della bibliografia disponibile con una ricerca sul campo che ha interessato un panel di Sindaci di piccoli comuni montani in tre regioni del Nord-Ovest: Piemonte Lombardia ed Emilia-Romagna.

In un panorama di condizioni strutturali fortemente caratterizzato, come quello che si è cercato di ricostruire con gli strumenti quantitativi di analisi geo-statistica, l’approccio sviluppato dalla ricerca UNCEM ha cercato di cogliere anche i caratteri qualitativi della presenza di cittadini non europei nella montagna italiana, facendoli emergere attraverso un percorso di interviste in profondità rivolto a un panel di sindaci di piccoli comuni montani del Nord Ovest. Da questo approccio, che si è potuto avvalere della una consolidata esperienza di lavoro nel campo delle migrazioni nelle aree montane maturata da Maria Molinari che ha condotto questo percorso, si possono individuare alcuni elementi che disegnano il quadro delle immigrazioni nei contesti minori e che paiono utili per caratterizzare efficacemente il quadro di riferimento in cui la ricerca si è collocata.

Alcuni elementi che caratterizzano le immigrazioni e che possono apportare cambiamenti positivi nei piccoli comuni italiani sono: il ruolo cruciale dell’immigrazione nel contenimento dello spopolamento, benché gradualmente si rilevi una tendenza al calo della natalità anche tra le famiglie straniere presenti da più lungo periodo in Italia; il conseguente e immediato impatto sui territori in termini di mantenimento dei servizi pubblici (in primis la scuola); il recupero e l’uso delle abitazioni dismesse o sfitte; l’impiego in settori di lavoro vacanti e la conduzione di interi settori economici (produzioni tipiche, cura alla persona, settore forestale, settore dell’allevamento, edilizia, settore agricolo), aumentando così il presidio sui territori e diminuendo i rischi ambientali (incendi, dissesto idrogeologico conseguenti alla mancanza di cura del territorio e del paesaggio); la possibilità di contatto e conoscenza di nuovi mondi e culture che proiettano il comuni medio piccoli in una dimensione internazionale.

I territori a loro volta offrono ai nuovi abitanti caratteristiche (differenti da quelle presenti nei centri urbani maggiori) che, almeno e su taluni aspetti, li rendono interessanti e attrattivi: la presenza di alloggi a costi accessibili; la possibilità di incontro diretto con gli abitanti, fatto di una socializzazione per lo più informale data da una frequentazione quotidiana e intergenerazionale, caratteristica dei piccoli comuni; di questo aspetto fa anche parte la vicinanza e il coinvolgimento diretto delle autorità locali nella relazione con i migranti e la presenza strategica di persone chiave importanti per rafforzare le relazioni di comunità; l’opportunità di instaurare relazioni innovative, intessere reti di coesione e di inclusione sociale; la presenza di un valore legato al patrimonio naturale e culturale dato dalla relazione con l’ambiente, rilevatosi importante attrattore di nuove presenze, sia italiane che straniere, specialmente durante la pandemia; qui c’è un alto potenziale per la costruzione di una buona qualità di vita, grazie alle dotazioni paesaggistiche, ambientali e la micro agricoltura; presenza di qualità distintive trasformate in vantaggi competitivi.

Esistenza di numerosi spazi vuoti potenzialmente da acquistare, mantenere e curare trasformando così i territori in aree adatte allo sviluppo. Il quadro che le interviste delineano, senz’altro incompleto e qui solo brevemente sintetizzato, evidenzia come molte delle difficoltà che mettono a rischio le possibilità di radicare nuovi abitanti nei paesi di montagna derivano da una normativa nazionale che da molti sindaci intervistati viene considerata inadeguata per gestire un flusso oggi struttura le anche nei paesi delle aree interne. Questa inadeguatezza emerge con chiarezza in particolare nei contesti medio piccoli, dove frequentemente i sindaci sono i diretti protagonisti della risoluzione dei problemi e spesso ne subiscono le conseguenze in prima persona. I piccoli comuni di montagna possono essere un luogo d’innovazione sociale e assumere una funzione di apripista in questa direzione. Alcuni esperimenti, che però hanno riguardato solo i progetti di accoglienza, esistono già. Riguardano quei comuni che non hanno subito passivamente gli eventi cosiddetti “emergenziali”, ma che hanno trovato invece il modo di guardare all’evento come un’opportunità su cui fare leva, a favore dei propri territori e a favore delle persone. Bisogna fare un passo ulteriore. Riconoscere le presenze decennali che vivono nei paesi come risorse disponibili e pensare al passaggio del testimone in un’ottica di guadagno, non di perdita. Per tutte le parti in gioco.

 

A cura di Giampiero Lupatelli