Vado a vivere in montagna? Sì, imparando a fare i conti con “so dove sono”.

Analizzando un campione di 1.000 casi, rappresentativo della popolazione italiana, Ipsos ha realizzato un’indagine per Uncem su come viene percepita la montagna. Il quadro che emerge evidenzia che, a dispetto dei tanti vantaggi riconosciuti e apprezzati della vita in montagna, in primis l’aria pulita e il contatto con la natura, solo il 9% degli intervistati potrebbe considerare seriamente di trasferirsi in montagna. A frenare la scelta per lo più la mancanza di trasporto pubblico e di servizi di base.

Siamo ancora alla teoria. Vediamo, in pratica: come si decide di lasciare definitivamente la città e vivere in una comunità di montagna? «Ci vuole un mix di coraggio, voglia di combattere e ottimismo, poi, nel mio caso, un contesto di varie ragioni che ha creato le condizioni per prendere questa strada» racconta Alice La Rosa, che da Genova si è trasferita in un piccolo comune dell’entroterra ligure, in Val di Trebbia, a mille metri sul livello del mare. La sua storia è fatta di casualità e decisioni, di coraggio e amore, di “sapere fare” … e farlo.

È il 2014 quando Alice La Rosa, alla 32esima settimana di gravidanza viene licenziata. Il compagno, Andrea Piorun, futuro padre di Cecilia e presto marito di Alice, è ancora uno studente di chimica. All’orizzonte molte incertezze, ma nel presente pochi vincoli. È la spinta per considerare una dimensione di vita diversa, che prende forma in un pellegrinaggio sempre più frequente a Pietranera – frazione di Rovegno (GE), che complessivamente conta circa 500 abitanti – dove Alice e Andrea si sono conosciuti da ragazzi, da villeggianti. Gli iniziali fine settimana gradualmente si allungano fino a trasformarsi in presenza stabile. Qui, nella casa del nonno di Alice, diventano artigiani, producendo oggettistica, dal recupero creativo. Nel frattempo la loro dimora diventa una piccola fattoria, con galline, oche e api.

Dunque, addio rumore, traffico, aria malsana. Addio, però, anche tanti servizi preziosi: il medico, i trasporti … e i negozi. Se infatti la sanità è uno dei più importanti punti deboli della vita in paesini di poche anime, nella quotidianità l’assenza di attività commerciali non è da meno. Non a caso da Pietranera la famiglia Piorun è scesa a Isola, altra frazione di Rovegno, e quando, nel 2019, l’ex sindaco di Rovegno decide di chiudere l’unico presidio alimentare e minimarket a Loco, a 2 chilometri da Isola, Alice sceglie di rilevarlo «perché non potevamo restare senza un alimentari». Insomma, il bisogno e il buonsenso incontrano lo spirito imprenditoriale e nasce La Bottega di Alice.

A Loco siamo al confine di quattro province: Genova, Piacenza, Alessandria e Pavia. Lontani da tutte. Alice ha 37 anni. Suo marito 31. La figlia 5. È il novembre del 2019, il lockdown alle porte. Così la Bottega di Alice apre per trasformarsi rapidamente in un servizio sociale: Alice recupera tutto quello che serve agli abitanti del piccolo borgo, fa commissioni, gestisce pratiche … e la bottega diventa un punto di aggregazione, quando l’aggregazione è negata.

Superata la pandemia, la Bottega risorge e si conferma punto di incontro, dove si va a scambiare due parole. Qui si trova un po’ di tutto, dal pane alle sigarette … e quello che manca Alice lo va a comprare su commissione. Nelle giornate gelide dell’inverno, Alice non aspetta gli avventori, per lo più ottantenni, ma li chiama uno ad uno, per sapere di cosa hanno bisogno e portarglielo casa «perché mica possono uscire con le strade ghiacciate! Vivere qui significa anche imparare ad aiutarsi, se non ci aiutiamo … non andiamo da nessuna parte». Il servizio porta a porta, infatti, non ha un costo aggiuntivo, fa parte del sistema di sostegno che intreccia le vite di chi abita in piccoli comuni. Solidarietà. Collaborazione. Sono le parole chiave delle comunità di montagna. Senza non si può pensare di vivere qui. Così come non si può vivere qui se non si ha un’auto: l’auto è indispensabile.

È difficile far crescere qui i propri figli? «No, anzi. Qui la raccomandazione “non parlare con gli sconosciuti” non esiste. Da queste parti i bambini possono incontrare più facilmente un cinghiale che un malintenzionato. Quello che manca sono proprio i bambini, ragione che ci ha spinti ad avere un secondo figlio. Oggi Enea, ha 5 anni e all’asilo sono in sei.  Per mandarli a scuola c’è lo scuolabus, ma in generale mancano le attività per i ragazzi – sport, intrattenimenti -, però qui sono felici e quando li portiamo in città, sebbene all’inizio siano attratti dalle vetrine di giocattoli, si sentono rapidamente frastornati dai rumori e dal traffico. Infatti, ora che i nostri figli sono un po’ più grandi, da Isola vogliamo tornare a Pietranera, dove possono godere di spazi immensi e straordinari».

In estate queste terre si rianimano grazie all’arrivo dei turisti. Alcune frazioni vedono tornare una manciata di proprietari di case “di famiglia” normalmente disabitate, altre si trasformano raddoppiando o triplicando la popolazione, fino a casi come Pietranera che di solito conta due residenti e che d’un tratto accoglie 1.500 persone. «In realtà non possiamo parlare proprio di fenomeno estivo, il turismo qui dura circa un mese, agosto. E questo è il mese del nostro fatturato annuale. Il resto dell’anno, come formichine, consumiamo piano piano quello che abbiamo messo da parte».

Di cosa si avverte la mancanza a Loco, come a Isola o Pietranera? «La preoccupazione maggiore riguarda l’assenza di un presidio sanitario. Specialmente perché la maggioranza dei residenti è fatta di anziani. L’assenza di personale medico genera grande ansia. In caso di emergenza si chiama il 118, servizio reso possibile dai volontari, che non sono medici, ma che a sirene spiegate ti accompagnano al pronto soccorso, a 50 chilometri da qui. Se il caso è giudicato davvero grave, arriva l’elicottero, urgenza che ho vissuto di persona».

Senza pensare a incidenti drammatici, come fanno, ad esempio, le donne che devono partorire? «Intanto la presenza di donne in età fertile è piuttosto bassa, quindi la “dolce attesa” è un vero evento che coinvolge tutta la comunità: tutti fanno il conto alla rovescia e sono pronti ad accogliere la nuova vita. Quando arriva il momento però, bisogna correre e così la mia vicina di casa ha partorito in ambulanza».

Insomma, vivere qui non è banale, ma Alice e Andrea non tornerebbero mai indietro. Il loro segreto? «Bisogna saper fare i conti con “so dove sono” e quindi accettare la carenza di servizi, imparare ad arrangiarsi, ad aiutarsi, è il prezzo da pagare per beneficiare del bello che la natura ha da offrire, dei suoi spazi, del suo silenzio. Nove anni fa perdere il lavoro, con una bambina in arrivo, è stato uno shock, ma si è tramutato in una opportunità. Certo, le opportunità bisogna contribuire a crearle. Ora, ad esempio, stiamo pensando di aprire anche la partita iva da apicoltori. Non ci si può fermare».

Speranze per il futuro? «Che altri giovani abbiamo abbastanza coraggio e quel pizzico di sana follia per fare questa scelta. Abbiamo bisogno di nuova linfa per queste terre meravigliose che con lo spopolamento si deteriorano. I boschi vanno puliti, i sentieri manutenuti, i corsi d’acqua controllati … se non ci sono abitanti il territorio involve, diventa sempre meno vivibile. Venite!».

 

di Francesca Corsini