Per creare una salda identità collettiva, è fondamentale una progettualità condivisa che alimenti la consapevolezza di tutti i membri del territorio. La vita di comunità si lega con i marchi locali, con la vita e la quotidianità, con la storia e la narrazione della località. «Le parole chiave sono coprogrammazione e coprogettazione tra attori pubblici e privati – spiega Alessandro Durando, presidente di Confcooperative Cuneo –, integrando i differenti livelli istituzionali e territoriali e dialogando con reti estese.» A tal proposito, i marchi territoriali esprimono un patrimonio di opportunità, hanno un’intrinseca funzione di identificazione attorno a modi di essere e fare territorio e, evitando i rischi di curvature localistiche e conflitti d’interesse, creano la possibilità di muoversi verso una direzione condivisa.

È fondamentale creare reti di attori territoriali coniugando settore pubblico e privato, adottando progettualità concrete su questioni nodali. Si tratta di uno sforzo collettivo, facendo leva su obiettivi comuni e seguendo logiche collaborative e non concorrenziali. «Pubblico e privato devono cooperare nell’ottica di una cornice condivisa – afferma Federico Bernini, della Cooperativa Comunità Viso a Viso – per la promozione del territorio nella sua complessità ecosistemica». Centrale è il protagonismo della società ed esperienze come le cooperative di comunità, le comunità energetiche e l’associazionismo fondiario rappresentano un’indicazione di metodo dove collaborazione e sinergia sono i tratti distintivi. Le Cooperative di Comunità sono imprese che vedono la partecipazione degli abitanti e creano una cabina di regia indispensabile. Chi abita i luoghi, come dichiarato nella Convenzione di Faro, ne detiene i patrimoni: gli abitanti diventano così soggetti economici imprenditoriali attivi. Le Comunità energetiche, invece, si inseriscono nel vuoto concettuale lasciato dal mercato e dallo Stato. «Laddove la pubblica amministrazione non può attuare le azioni economiche concordate dall’alto – spiega Massimiliano Monetti, Presidente Confcooperative Abruzzo – è la comunità di cittadini a intervenire dal basso. Occorre costruire sistemi integrati per cui gli abitanti che costituiscono l’impresa partecipata giochino in sinergia con la pubblica amministrazione, combinando efficacemente azione economica dal basso e azione politica e istituzionale dall’alto». Gli abitanti devono superare la mera accezione geopolitica dei confini e stimolare ragionamenti di tipo transfrontaliero, per generare un forte valore aggiunto.

«Termini come “biologico”, “km0” e “OGM” – spiega Giovanni Teneggi, direttore Confcooperative Reggio Emilia – sono etichette ormai depotenziate a livello mediatico: hanno un grande valore intrinseco, ma il mercato e la sua narrazione le hanno ampiamente digerite.» Oggi novità e originalità sono propri delle accezioni comunitarie, dove il marchio territoriale diventa consapevolmente corrispondente a un preciso modello organizzativo: produrre insieme cooperando crea una vera palestra di cultura, di cittadinanza, di intraprendenza e, quindi, di democrazia. La comunicazione resta la chiave di volta per il coinvolgimento degli attori, soprattutto dei cittadini. Essi vanno integrati sia nel progetto di etichettatura del territorio sia durante l’avanzamento del percorso, creando spazi di cooperazione e riflessione critica. È necessario lavorare sulle grandi culture globali, innescando azioni di pedagogia delle comunità e ponendo tutti gli attori allo stesso livello nell’ottica di una governance partecipativa. Numerose esperienze sono già state fatte, ma l’ostacolo più difficile da superare rimane il retaggio culturale dei territori, radicato e difficile da abbandonare. L’indisponibilità a uscire dall’abitudine per paura della novità conduce a un fenomeno di path dependence del tutto infruttuoso, che va necessariamente ridefinito per favorire collaborazione e sinergia reticolari.

 

di Angelica Salerno