Tesi di laurea di Giacomo Marengo, selezionata dal Bando di Uncem per le “Migliori tesi di laurea sulla montagna, in memoria di Amministratori defunti negli ultimi anni”.

 

Lo studio condotto da Giacomo Marengo rappresenta un mezzo di discriminazione nella scelta dell’approccio gestionale dei boschi di neoformazione. L’analisi spaziale e temporale della copertura e dell’uso del suolo fornisce uno strumento per la zonizzazione e la prioritizzazione di intervento, mentre le analisi della struttura forestale e della composizione dello strato erbaceo permettono di differenziare, a seconda dell’uso storico del suolo, lo stadio successionale dei boschi di neoformazione. L’approccio multi-scala e multidisciplinare utilizzato ha infatti permesso di individuare, a fronte delle esigenze socio-economiche di ripristino e rivalutazione delle aree prative del bacino indagato, differenti strategie gestionali a seconda della legacy esaminata, collocando lo studio come un importante strumento di supporto alla pianificazione del territorio.

L’indagine in dettaglio

Le regioni montane europee sono tradizionalmente caratterizzate da ecosistemi silvo-pastorali semi-naturali originati da secoli di interazione tra dinamiche naturali ed antropiche. Le pratiche tradizionali, come la selvicoltura e il pascolamento, hanno permesso la formazione di un mosaico paesaggistico eterogeneo composto da un’alternanza di boschi, pascoli arborati, pascoli e coltivi caratterizzati da un’elevata biodiversità.

I cambiamenti socioeconomici del secondo dopoguerra hanno causato un forte fenomeno migratorio dalle Alpi alla pianura, portando a un forte abbandono delle aree rurali e a una contrazione di questi paesaggi semi-naturali. La conseguenza più evidente di questo processo, osservata oramai su gran parte del territorio alpino, è l’espansione forestale a discapito di altre tipologie di copertura, soprattutto le aree aperte.

Durante il processo di colonizzazione, le formazioni forestali si insediano con dinamiche variabili a seconda delle specie presenti, delle condizioni climatiche, del precedente uso del suolo (legacy) e della struttura e composizione del paesaggio. Il risultato di questo processo dà vita ai cosiddetti boschi di neoformazione. Questo fenomeno di cambiamento di uso del suolo produce intensi impatti di carattere ambientale, sociale ed economico, che alterano la fornitura dei servizi ecosistemici degli habitat semi-naturali. Le implicazioni di questi cambiamenti non riguardano solamente le terre abbandonate e la popolazione locale, ma la stessa società poiché soggetta a un cambiamento di produzione di beni e servizi, nonché a una forte perdita culturale. Conoscere la storia di un determinato ecosistema è fondamentale per comprendere gli attuali processi ecologici e per attuare pratiche di gestione razionali e sostenibili. L’uso storico di un determinato ecosistema determina la struttura, il modello spaziale e i servizi ecosistemici forniti dei moderni paesaggi forestali, vincolando anche i futuri processi ecologici. Gli effetti a lungo termine dell’uso storico del suolo sulle dinamiche naturali degli ecosistemi prendono il nome di land-use legacies.

Il presente lavoro di tesi si propone di indagare gli effetti delle legacies pregresse di uso e copertura del suolo sulle caratteristiche dei boschi di neoformazione di un bacino idrografico piemontese. A tal fine è stato utilizzato un approccio multi-scala, integrando strumenti di telerilevamento, rilievi forestali e fitosociologici. Tramite una classificazione per oggetti semi-automatica, è stata realizzata a scala di paesaggio una cartografia di uso del suolo relativa a due fotografie aeree, una passata (1954) e una presente (2017), utilizzando le seguenti classi di uso del suolo: bosco denso, bosco rado, pascolo arborato, prateria, coltivo, urbano, non vegetato. Nei boschi di neoformazione individuati a scala di bacino idrografico tramite l’analisi del cambiamento di uso del suolo (1954 – 2017) è stata attuata una campagna di rilievi al fine di rilevarne le caratteristiche strutturali e floristiche. Per indagare la variabilità dei nuovi boschi sono state eseguite analisi di statistica univariata (test di Kruskal-Wallis e Wilcoxon) e multivariata (PCA, RDA) impiegando diverse variabili relative alla topografia (quota, pendenza, Heat Load Index), all’impatto antropico (distanza dagli edifici, distanza dalla viabilità), alla struttura forestale (area basimetrica delle specie pioniere e definitive, indice di diversità strutturale e specifica di Brillouin, età relativa al diametro massimo e più frequente) e alla vegetazione dello strato erbaceo (indici di Landolt, gruppi fitosociologici).

I risultati ottenuti evidenziano intensi cambiamenti nella struttura del paesaggio dell’area indagata, guidati in particolare da una forte dinamica di espansione forestale a discapito delle aree aperte, instauratasi a seguito del declino della popolazione e delle pratiche tradizionali di uso del suolo. La contrazione delle ex praterie rappresenta l’uso che maggiormente ha subito una perdita in termini di superficie e che attualmente è confinata principalmente nelle aree pianeggianti e di fondovalle.

Dai risultati delle analisi statistiche si osserva un’alta variabilità nella struttura arborea e nella composizione floristica dei nuovi boschi. I boschi di neoformazione più giovani, insediatisi nelle ex prateria, sono situati nelle aree dove solitamente l’abbandono colturale si è verificato tardivamente, vale a dire nelle zone più accessibili, vicine agli insediamenti antropici di fondovalle e posizionate sui versanti meno acclivi e più soleggiati. Al contrario, i boschi più evoluti, individuati sulle legacies 3  a pascolo arborato e bosco rado, sono situati nelle aree distanti dai centri abitati, pendenti e poco soleggiate, spesso abbandonate per prime a causa della loro limitata accessibilità. Questa variabilità viene in parte spiegata dall’eredità degli usi passati individuati attraverso la fotointerpretazione dell’uso del suolo, ma non completamente. I processi di colonizzazione sono infatti il risultato dell’interazione di molte variabili, alcune non considerate durante questo studio, come le condizioni microclimatiche e le variabili pedologiche. Ad esempio, la pratica del pascolamento può ritardare l’avanzamento della successione, a seconda che sia praticata da ovini o bovini: mentre i bovini, per via della loro dieta non selettiva, danneggiano permanentemente la rinnovazione della vegetazione arborea, le pecore e le capre, avendo abitudini alimentari selettive, causano lesioni solitamente trascurabili. Tuttavia, il pascolamento può anche esercitare un impatto positivo sulla riforestazione. Per esempio, tramite il calpestio da parte del bestiame, può generare aree aperte e tendenzialmente erose favorevoli alla germinazione delle specie colonizzatrici, o ancora favorire la crescita della vegetazione migliorando la fertilità del suolo.

Sebbene non sia stato possibile spiegare completamente la diversità rilevata, i risultati ottenuti constatano in parte l’influenza esercitata dalle land-use legacies nel determinare le caratteristiche strutturali e floristiche dei boschi di neoformazione individuati dopo oltre 70 anni di abbandono.

I boschi di neoformazione rappresentano un’opportunità ecologica e selvicolturale e contemporaneamente una criticità ambientale e paesaggistica. La gestione dei boschi di neoformazione può avere obiettivi diversi, risultando in due strategie di gestione. Da un lato, si può favorire la ricostituzione naturale delle foreste e di altri habitat (rewilding) fino al raggiungimento delle condizioni di naturalità attraverso una gestione passiva. D’altro canto, si può intervenire attivamente se l’obiettivo prevede il ripristino e la manutenzione dei paesaggi antropici e semi-naturali. Ognuno di questi approcci presenta pro e contro. Nel discriminare la strategia gestionale da attuare è fondamentale considerare le esigenze sociali (e.g. interessi socio-economici e culturali) e politiche (e.g. politiche europee – PAC e RN2000 –, nazionali e territoriali – Aree Protette –) del territorio. In particolare, il ripristino e la rivalorizzazione dei terreni abbandonati è un’alternativa possibile se prevede una pianificazione progettata sul lungo termine che consideri non solo il valore naturalistico, ma anche l’interesse del territorio.