Intervista a Davide Pettenella, professore Ordinario presso Dipartimento Territorio e Sistemi Agroforestali dell’Università di Padova.

Quali sono le caratteristiche della filiera forestale italiana?

Innanzitutto è bene precisare che quando si parla di filiera forestale non si intendono solo i prodotti derivati dal legno. Ci sono anche altri prodotti come funghi, castagne, erbe, resine, sughero. Negli ultimi anni è molto cresciuta l’attenzione per queste risorse, soprattutto per questioni di marketing del territorio. Prodotti tipici come il tartufo o il porcino servono a creare il genius loci e fanno da sponda a strategie di promozione locale per il turismo e le attività culturali, enogastronomiche, ricreative.

E per quanto riguarda il legno?

Il dato da cui partire è che i boschi italiani sono i meno intensamente utilizzati in Europa. Le nostre foreste si accrescono così in massa ed estensione, il che è certo positivo. D’altra parte, però, è anche una perdita economica, visto che l’Italia è il secondo importatore europeo di legname dopo la Gran Bretagna. Lo utilizziamo soprattutto nell’industria dell’arredamento, di cui siamo i secondi esportatori mondiali dopo la Cina. La nostra dipendenza dall’estero è quindi strutturale. Inoltre, un aspetto negativo è che il legno è spesso importato da paesi con grossi problemi di commercio illegale, come Balcani, Africa Occidentale, Sud Est Asiatico. Anche se non ci sono dati precisi a confermarla, è una percezione abbastanza verosimile che l’Italia sia il primo importatore europeo di legname illegale. Bisogna dire comunque che la nostra industria è stata molto brava ad adattarsi a questa relativa scarsità di materia prima. Attraverso il design e processi innovativi, riusciamo a fare prodotti di qualità anche con legname di minor valore.

Sfruttando anche il riciclo del legno post consumo?

Sì esatto, ad esempio con la tecnologia dei pannelli di particelle. Paradossalmente, l’area italiana che produce più materia prima è la conurbazione di Milano, dove c’è una grande dismissione e raccolta di prodotti finiti post consumo, non solo mobili, ma anche imballaggi. Insomma, nel sistema foresta-legno italiano la bioeconomia è più avanzata che in altri settori proprio perché stimolata dalla carenza di materia prima.

A cosa è destinato invece il (poco) legno tagliato dai nostri boschi?

In gran parte è destinato alla produzione energetica. Le biomasse sono la prima rinnovabile in Italia, cosa che non viene spesso detta, perché in genere si fa riferimento solo all’energia elettrica, lasciando fuori quella termica. Questa filiera permette di mantenere puliti i boschi, prevenire incendi e invecchiamento e di rivitalizzare le aree forestali soprattutto del Centro-Sud. Anche se, bisogna dirlo, a volte il legno viene tagliato in modo irregolare. Il problema dell’utilizzo a biomassa, tuttavia, è che la materia prima non viene valorizzata per produzioni di maggior pregio e con maggiori ritorni economici.

Dovremmo dunque imparare a sfruttare meglio il nostro patrimonio forestale?

Abbiamo 12 milioni di ettari di foreste, corrispondenti a più di un terzo del territorio nazionale. E poi abbiamo una superficie di 60-80mila ettari di piantagioni, perlopiù pioppi. Da queste piantagioni si ricava la metà del legname utilizzato per l’industria, mentre l’altra metà viene dalle foreste, che significa una percentuale davvero minima. Non utilizzare praticamente per nulla quei 12 milioni di ettari, a conti fatti, è uno spreco, che fa male non solo all’economia ma alla stessa manutenzione delle foreste, lasciate così un po’ a se stesse. Certo non bisogna generalizzare, perché lo stesso discorso non si può fare per tutte le aree boschive. In Italia abbiamo la più grande biodiversità forestale d’Europa, tutto il range di ecosistemi del continente, dai boschi di conifere alla macchia mediterranea. Dire “dovremmo tagliare più legno” è in linea di massima vero, ma dipende dalle diverse situazioni: i boschi giovani ad esempio vanno protetti, così come le aree forestali di valore naturalistico o culturale che devono essere mantenute intatte. Quel che si può dire, però, è che non abbiamo bisogno di aumentare la superficie forestale nazionale, visto che da 50 anni sta già aumentando da sola.

 

Di Giorgia Marino e Maria Chiara Voci