Spesso quando si pensa alla montagna la mente rimanda a cartoline, immagini di paesaggi mozzafiato. Boschi, ruscelli, prati e vigneti, paesini graziosi e ordinati. Tutto sembra pacifico e idilliaco, come in una fiaba. Ma in quei paesini ci sono case e dentro persone, che non sempre riflettono la spensieratezza del paesaggio in cui vivono. Quella cartolina nasconde un lato oscuro che non si vede da lontano. Bisogna avvicinarsi, stringere l’inquadratura, fare dei primi piani sulla gente che vive in quelle case, in quel paesino, in quel panorama da favola per ricordarsi che anche nelle favole c’è sempre un lupo cattivo.

È di questo che parla Rispet, il lungometraggio-fiction, girato con attori non professionisti nella Valle di Cembra, zoomando, sfocando l’idillio sullo sfondo e facendo emergere l’altra faccia della vita in montagna, quella di chi la montagna la vive ogni giorno.

Rispet è la storia di un borgo di montagna immerso nei vigneti dove gli abitanti giurano di essere una grande famiglia, ma tra loro serpeggia una profonda incapacità di esprimere emozioni e desideri.

Realizzato dalla giovane regista, Cecilia Bozza Wolf, il film mette al centro il “Rispet”, parola dialettale trentina che racchiude in sé un mondo di emozioni e conflitti, un sentimento ambiguo oscillante tra onore e vergogna, capace di condizionare nel profondo i comportamenti degli abitanti delle piccole Comunità Montane.

Il film si inserisce in quel contrasto fra le immagini patinate delle Alpi offerte dai media e radicate nell’immaginario collettivo e di un vissuto montanaro tutt’altro che sereno, di una montagna fatta di suicidi, alcolismo endemico e depressione. Luoghi dove dilagano taciute follie e drammi di individui e di famiglie che provengono da un lungo elenco di vicende in gran parte sconosciute, sconcertanti, misteriose talvolta quasi macabre. Una montagna triste fatta di angosce e solitudini maturate per lo più dentro le mura domestiche e sepolte come segreti inconfessabili dentro i confini delle comunità e dei villaggi. Intorno invece, frotte di villeggianti inseguono divertimenti, svaghi, serenità e benessere.

Questo lato segreto e oscuro delle Alpi, troppo spesso taciuto, svela l’estrema ambiguità e complessità della realtà alpina contemporanea. Una realtà che è però in costante mutamento, una montagna i cui volti sono sempre più sfaccettati tra presunto tradizionalismo e chiusura, ma anche bisogno di intrusioni dall’esterno, di evasione, di diversità. Una montagna in mutamento dove gli stereotipi si rovesciano e il folklore si lascia contaminare dalla cultura pop dei social media e del marketing. Una montagna in crisi di identità.

di Francesca Corsini