Di Marco Bussone

«Non ci dobbiamo spaventare del cambiamento climatico e di consigli di Legambiente, ma dobbiamo affrontarlo e prendere le misure. Ovvero non accanirsi ad innevare artificialmente le piste dove non serve, installare pannelli solari per produrre l’energia pulita e realizzare i bacini artificiali che consentano di “fare la neve” a tempo e ora, in modo che rimanga per tutta la stagione».

Nicola Bosticco non sorprende nella efficace e chiara lettura. Non rifiuta il cambiamento. Ci sta dentro, e come i bravi imprenditori, sa che nel cambiamento ci si sta e si costruiscono percorsi per evitare che lo stesso cambiamento danneggi e distrugga l’impresa. O il contesto nel quale si muove l’azienda. Bosticco è alla guida della Colomion, società degli impianti a fune, anima del turismo di Bardonecchia. Sa cosa vuol dire fare turismo, in Italia e in Francia, sa cosa sono i “letti freddi”, sa come sono cambiate le cose, a livello climatico e di flussi, negli ultimi vent’anni e di più. Sa cosa vuol dire dialogo. Non si scaglia contro la scienza. Anzi. Le dichiarazioni sulla Stampa di Torino, a poche ore dalla presentazione del dossier di Legambiente “Neve diversa” sono di apertura, di dialogo, di azione. O così o niente. La strada è solo quella del dialogo. Perché se invece la strada di qualcuno fosse quella del negazionismo o anche del negare che il problema e le sfide esistono, con un sorriso sornione, poco si può andare lontano. Di tifoserie ne facciamo a meno, e lo avevo scritto a inizio di questo travagliato 2023. Con un inverno di ottimi flussi, ma di bassissime precipitazioni, di enorme crisi ecologica e di gigantesca assenza di acqua.

Bosticco ha ragione. Si deve lavorare senza essere spaventati, senza retroguardia, senza drammi e paure. Senza accanirsi, senza banalizzare. Da tutte le parti.

Capisco. Io lo capisco, io capisco quei Sindaci che aprono le braccia e che abbassano la testa, scuotono il capo. Sanno, vogliono sapere. Poi, sbarrano gli occhi. È il peso enorme di un impegno, di una responsabilità. È anche la solitudine ad assalire. Colgono gli scenari, i dati, le tragedie ecologiche in corso. Sanno cosa fanno i numeri del turismo, fin qui, per i territori. Ma poi, loro, i Sindaci e noi – siamo in tanti – non sappiamo che fare. Lo intuiamo, lo vediamo, proviamo a capire cosa abbiano fatto altri. Indaghiamo per avere una soluzione, a impatto zero si direbbe. Cosa fare. Ce lo chiediamo e siccome anche i migliori non sanno leggere nel futuro, o non hanno la palla di vetro, e siccome immaginare e pianificare altro è difficilissimo, consciamente cadiamo in difficoltà. E nello sconforto anche. Più soli. Le crisi. La Crisi.

Quell’impiantino sul versante fa mille, duemila skipass il sabato e la domenica. Da gennaio a marzo. Costa poco alla spesa pubblica. È lì da 40 anni. Ci lavorano diversi giovani del paese e della valle. Vita tecnica rinnovata, manutenzioni. “La Regione ci ha pure investito anni fa dei soldi per renderlo più moderno. Se ci han creduto loro, perché non noi!? Buttiamo via tutto?!”. C’è un indotto. Alberghi, ristoranti, bar, maestri, e poco distante anche imprese che fanno sci, impianti stessi, tute. Ma. È basso. Maledettamente non arriva oltre i 2000. Come fa un Sindaco, o peggio un imprenditore, a dire che va chiuso, che va fermato? Buttare via tutto!? Ha la neve artificiale come opportunità, sovvenzionata anche da buone risorse nazionali e regionali, integrate da qualche stanziamento del Comune. Che sa che vi sarà ancora beneficio per le imprese dei territori. Non inquina l’impiantino più di altre attività, è energivoro come altre attività. Ma è basso e neve ce n’è poca. Che fare? Come si accompagna il cambiamento è la domanda che si fa Bosticco, che si fanno gli imprenditori, che si fanno i Sindaci. Dove si sta andando? Dove porta tutto questo? Io davvero, Sindaco, devo dire che quella roba va chiusa, fermata, cambiata? E devo farlo con un imprenditore che già mi chiede aiuto, che fatica a prendere due soldi, che ha avuto due anni di merda per il covid che è stato una merda e lo è ancora per gli effetti spacchettati nel turismo, nell’economia, negli effetti complicati dalla guerra e dalla finanza energetica impazzita, zitta e buona solo nel danneggiare le imprese di queste valli. Così vicine alle fonti idriche e ai cavi della media e alta tensione, ma obbligati ai costi di tutti gli altri, del cinquestelle della piazza centrale metropolitana, della catena dell’alta moda che il cambiamento climatico anche lo vive, ma che può puntare sui capitali del fondo green internazionale per diventare ancor più ricca e forse sostenibile.

Ecco. Tutto questo è un pezzetto di spaccato drammatico e difficile, da togliere il fiato. Non bastano un articolo o una analisi. Non bastano dieci, venti convegni. Impresa e Politica restano inermi, rischiano forte, e gela il sangue, si ferma il corpo. Solo gli inetti e gli inermi, vanno avanti come se niente fosse. Fottuti.

E io, cosa devo fare nel cambiamento? Perché l’analisi non è così complessa e ardua, come invece è il cambio. Il cambiare. Sindaci e Amministratori pubblici preoccupati ci dicono, mi dicono: bravi, belle parole, oppure “belle cazzate”, danneggianti e dannose per la montagna. Colpa vostra, dei giornali e dei giornalisti anche, che raccontano tutto quel che non va, la neve che non c’è, l’impiantino che non apre. Montagne di fallimenti. Montagne che invece vivono in quell’indotto, in quell’euro investito, in quella ricaduta sul comparto turistico dell’euro speso in skipass. Mi dicono. Abbiamo già poco e niente, chi resta è qui perché vuole restare perché un posto anche stagionale ce l’ha. Vale per le spiagge e per i bagnini, anzi: il ripascimento costa di più della neve artificiale. Sante parole. Come dargli torto. Mi dicono. Qui abbiamo quel turismo che è già differenziato sull’estate, ma per avere l’impianto d’estate, devo avere il 70% di entrate d’inverno. Con la neve naturale, che dio manda, o artificiale, che io spara. Mi dicono. Che poi, già poco abbiamo qui, o lì, in basso, nelle terre di mezzo. Abbiamo lo sci per questi impiantini, piccoli comprensori, mi dicono. Non che in grandi poli dello ski-total non abbiano il problema. Ma noi, qui abbiamo questo. E dobbiamo buttarlo via?! Come si evolvono le auto a motore endotermico verso le auto elettriche? Come si evolvono i distributori di benzina in colonnine per la ricarica elettrica? È preoccupante, è un pericolo per molti, per una o più categorie. Come negarlo. E qualcuno ha la facile soluzione in tasca?! Chi nega e chi annulla, è un poveretto. Chi semplifica e banalizza, o rimanda perché ha paura, ha capito niente. Qualcuno ce l’ha la soluzione per lo sci e per gli impianti dove la neve è e sarà troppo poca?! Ci dica. Io non ce l’ho. E non ho voglia di polemiche. E siccome il cambiamento va accompagnato, c’è bisogno di dialogo, di proposte e di idee che tolgano dal rancore – il cambiamento lo comporta sempre, lo porta indotto anche se non ce ne accorgiamo o lo neghiamo – e servono più denaro e più investimenti. Servono e serve dell’altro. Dire solo che una o l’altra stazione non ha futuro e che l’accanimento terapeutico dell’innevamento non serve, non è intelligente. Troppo facile. Accanimento terapeutico, mah… Poi il cerino in mano intanto lo hanno imprenditori, lavoratori, Sindaci, imprese, comunità. Nella transizione non possono perdere i più deboli e i più piccoli. Se fosse così, è un dramma più del drammatico scenario. Se perde un posto di lavoro o una famiglia quella località turistica alpina o appenninica, non ci siamo e non ci stiamo. Se togliere ai piccoli è per dare solo ai più grandi, non ci stiamo. Se dobbiamo ragionare di futuro, dobbiamo farlo tutti, senza sprecare risorse dove è poco utile, ma allo stesso tempo dicendo con chiarezza cosa succede lì dove qualcosa verrà meno.

È una emergenza non temporanea quella climatico-ambientale. È strutturale riforma, inclusione di intelligenze, scientifica elaborazione, forse è anche contrasto che deve però invece alimentare il dialogo. Non polarizzare e gettare ponti è anche per il turismo invernale del 2030, del 2050, del 2100. Cogliamo questa sfida, non rifugiamoci nel passatismo, non diciamo NO a qualche critica – anche a me, a Uncem, a noi -, non giriamoci dall’altra parte. Non scendiamo a facili compromessi, ma non distruggiamo tutto in modo ideologico. Diversamente neve, territori migliori, con la neve e con vocazioni da scovare, da esaltare, sulle quali investire, generare futuro, alimentare flussi, impegno, risorse, valore. Parole direte. Ma noi ci stiamo e ci siamo per renderle vive, impegni, sacrifici, scelte.