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Editoriale di Marco Bussone | Presidente Uncem

 

Sulla roccia. “È venuta la pioggia, i fiumi sono straripati, i venti hanno soffiato con violenza contro quella casa, ma essa non è crollata, perché le sue fondamenta erano sulla roccia”. Il brano del Vangelo di Matteo è pieno di significati di Fede, ma le immagini che evoca, senza entrare nella dimensione escatologica, sono di straordinario impatto per un Paese fragile come l’Italia.

Siamo il paese delle frane e dei terremoti, del dissesto e del rischio. Nessun altro Paese d’Europa è come noi e forse al mondo manco Giappone e California – con dimensioni ben diverse – hanno fragilità tutte insieme come quelle Italiane. Fingiamo spesso di non saperlo. E così, il Paese che ha la miglior Protezione Civile del mondo, costruita dopo le grandi tragedie – Irpinia, Vermicino, Umbria – e consolidata dal Codice del 2019 oltre che dalla rete del “Sistema”, non ha mai compreso fino in fondo come attrezzarsi per governare efficacemente il “prima” e il “durante” le calamità. Sul “dopo” siamo ferrati e maestri. Ma sul prima, non abbiamo mai capito che, nonostante i terremoti non si possano prevedere, serve una costruzione efficace e capace di evitare morti. Invece i morti ci sono a ogni sisma e sono tanti. Costruiamo male, con criteri non sempre efficaci, pianifichiamo male, a livello di campanile, non andiamo oltre i confini amministrativi, e ognuno fa un po’ come gli pare, anche per casa sua. Quando invece, diciamolo, uno Stato dovrebbe farsi carico di un piano decisivo, a prova di futuro, che costa miliardi e miliardi, anche per far abbattere quello che è antisismico – scuole ed edifici pubblici in primis, ma non solo – e ricostruirlo. Costruire sulla roccia. Intelligenza. Non solo efficienza energetica, limite del Superbonus 110% che ha messo tanto polistirolo sulle facciate, ottime caldaie a condensazione, infissi in pvc o alluminio e tripli vetri. Poi però non ha obbligato a dotarsi di sistemi strutturali antisismici, a rilegare solette, pilastri e travi, a installare a piastre. Che vendiamo al Giappone ma non usiamo noi. E non ci siamo mai attrezzati – la roccia culturale e politica non c’è proprio – con carte d’identità degli edifici, piuttosto che assicurazioni obbligatorie sugli immobili. Sostengo da sempre che in particolare per l’edilizia convenzionata, serve un serio piano (rifinanziare veramente il Fondo Gescal, o simili) di abbattimento e ricostruzione. Anche con “spostamento” temporaneo di chi ci vive. Vale in tutto il Paese. Complicato, ma altri Paesi lo hanno fatto e dobbiamo farlo. Non può esserci un nuovo sisma che tiri giù tutto. Occorre costruire e ricostruire sulla roccia. Ma dobbiamo farlo non a parole, e in tempi certi. Il piano antisismico e per rendere tutte le case a basso impatto energetico (almeno NZEB) facendo risparmiare proprietari e affittuari, doveva essere il perno del PNRR. Non ci siamo riusciti per via di spinte centrifughe e lobbiste alternative. Si faccia in altro modo allora, ma si faccia.

Il Paese coglie poco e male i segni dei terremoti, come quelli delle alluvioni. Ricostruiamo ancora “dov’era, com’era” e non “dov’era, come sarà”, cioè ripensando l’Appennino – più fragile delle Alpi, non solo per le faglie – in una chiave moderna che evita di commettere nuovi errori. Lo spopolamento morde e i terremoti sono acceleratori di processi sociali ed economici che riguardano le montagne italiane ed europee. Sappiamo che continuano a spopolarsi, le persone se ne vanno. Con un sisma se ne vanno di più, se non vi sono opportuni antidoti. Non solo nel ritirare su case, scuole, chiese, perché c’erano da sempre lì. Non basta. La dimensione di futuro la si deve plasmare e di conseguenza intervenire. Come saranno gli Appennini aveva provato a dirlo APE, “Appennino Parco d’Europa”, trent’anni fa. Accusati di essere troppo “filoambientalisti”, i promotori avevano invece visto giusto – lo dico con un grande complimento, con stima – nel porre domande e nel chiedersi dove si stava andando. E anche quale fosse il vero ruolo, produttivo e protettivo, delle aree parco. Un gran bel dibattito che il sisma di fatto ha riaperto, o meglio deve riaprire. La compagine di soggetti associativi e del terzo settore che il Commissario per la ricostruzione ha riunito, di fatto ha chiesto questo. Di pensare. Di accompagnare imprese, associazioni, Enti locali in un percorso di rigenerazione unito alla ricostruzione. È molto difficile. Ci abbiamo provato e occorre continuare, federarci, essere generativi. Mi è molto piaciuto, e rilancia APE, il lavoro di Fondazione Symbola con il Commissario per la Ricostruzione, ovvero “Next Appennino Lab”. Un laboratorio. Di pensiero prima di tutto. Con alcune parole chiave, incisive e testate d’angolo (per dirla con il Vangelo ancora) sulle quali costruire. Non basta spendere bene risorse del Piano nazionale complementare al Piano di Ripresa e Resilienza. 1,8 miliardi di euro. Non basta spenderli – con tutte le altre ingenti somme per la ricostruzione – se la casa non sarà sulla roccia. Pietre, cemento, legno. Non solo questo. Non solo costruito. Senza benaltrismo, Next Appennino è un pensiero che diventa strategia, concreta azione, prima di tutto. Che partono dal capitale naturale e dal capitale umano insieme, che richiede un patto educativo, di futuro. Che vuole essere roccia e che serve a tutti. A partire dai Comuni e dai Sindaci, più capaci di fare insieme, per andare lontano.