La lotta per la difesa delle filiali rappresenta oggi una battaglia fondamentale per garantire un futuro ai piccoli comuni di montagna. I sindaci chiedono un cambio di rotta, consapevoli che la sopravvivenza dei territori dipende anche dal mantenimento di servizi essenziali come le banche. Occorre un’inversione di tendenza che coniughi utili a utilità sociale.

In Italia, circa 4,4 milioni di persone e 266 mila imprese risiedono in comuni dove non è più presente alcuna banca. Mentre 6 milioni di persone e 405 mila imprese possono contare su un solo sportello bancario. Questo significa anche che il 41,7% dei comuni italiani, pari a circa 3.300 località, è completamente privo di servizi bancari, mentre il 24,1% ha un solo sportello. Un terzo dei comuni vede la presenza di due o più sportelli, che nell’arco di un decennio si sono ridotti del 34%. Solo nel primo semestre del 2024, le banche italiane hanno chiuso 163 filiali. Questi dati, resi noti dall’Osservatorio sulla desertificazione bancaria di First Cisl – Federazione Italiana Reti dei Servizi del Terziario, il sindacato dei lavoratori delle banche e dei servizi finanziari – provengono da un’elaborazione basata sulle statistiche della Banca d’Italia e dell’Istat aggiornate al 30 giugno 2024.

La desertificazione bancaria: cause e conseguenze

«La desertificazione bancaria è legata alla crescente concentrazione del settore», spiega Riccardo Colombani, segretario generale di First Cisl. Le fusioni tra istituti di credito hanno fatto confluire oltre il 50% del mercato nelle mani delle cinque principali banche italiane, come Intesa Sanpaolo e Unicredit, che preferiscono chiudere le filiali nei piccoli centri, considerati poco redditizi, per concentrarsi nelle aree urbane, dove i costi di gestione possono essere ammortizzati più facilmente.

Ma il ritiro dalle aree periferiche, oltre a creare disagi sociali e pratici, ha anche implicazioni economiche devastanti per le comunità locali, soprattutto nel caso di piccoli comuni e aree montane.

L’effetto occupazionale

Oltre a ridurre la disponibilità di servizi per cittadini e imprese, la chiusura delle filiali bancarie ha significative conseguenze occupazionali, indebolendo ulteriormente il tessuto locale. La perdita di sportelli bancari, infatti, si traduce in una diminuzione dei posti di lavoro nel settore e anche in questo caso il risultato è particolarmente gravoso per le aree montane e rurali, dove il comparto è uno dei pochi presidi economici a offrire occupazione stabile.

L’impatto dell’home banking: un’illusione di modernità

Le banche giustificano le chiusure con l’aumento dell’home banking, cresciuto del 29% negli ultimi dieci anni e oggi utilizzato per circa il 79% delle operazioni bancarie. Tuttavia, solo il 45% degli italiani ricorre effettivamente all’online, e l’accesso all’home banking è molto limitato nelle zone montane, dove la popolazione è più anziana e meno avvezza alle tecnologie digitali. In queste aree, la chiusura degli sportelli accresce i disagi per i cittadini e non può essere compensata dall’uso del digitale. «Il paradosso – sottolinea Colombani –, è che proprio nelle zone dove si registra la minore competenza digitale, specialmente tra le persone di età compresa tra i 65 e i 74 anni, si riscontra la maggiore rarefazione degli sportelli bancari».

Conseguenze economiche e sociali nelle aree più remote

I piccoli comuni e le aree montane sono stati i più colpiti dalla chiusura degli sportelli, trovandosi ad affrontare gravi difficoltà nel reperire contante e gestire le operazioni finanziarie. In questi territori, le popolazioni, spesso già penalizzate dalle scarse infrastrutture di trasporto e telecomunicazioni, si trovano costrette a percorrere lunghi tragitti per raggiungere il più vicino sportello bancario, con un conseguente aumento dei costi e dei tempi necessari per accedere a servizi essenziali come prelievi, versamenti e consulenze.

Qui «la chiusura di una banca non è solo una questione di accesso al denaro, ma incide profondamente sull’economia locale, già fragile e in calo demografico» spiega Marco Bussone, presidente nazionale di Uncem (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani).

Oltre ai disagi per la vita quotidiana dei cittadini, infatti, la chiusura delle filiali si riflette negativamente nel sistema economico della zona. Le piccole imprese, che dipendono dai servizi bancari per la gestione della liquidità e degli investimenti, vedono ridotte le proprie possibilità di sviluppo. Allo stesso tempo, l’assenza di un accesso diretto a istituti di credito scoraggia nuovi insediamenti e frena iniziative imprenditoriali, contribuendo a indebolire l’economia locale. Questo processo innesca un circolo vizioso che da una parte riduce ulteriormente servizi e infrastrutture disponibili, dall’altra alimenta il fenomeno dello spopolamento delle aree montane, aggravando l’isolamento e riducendo le prospettive di crescita e sostentamento per queste comunità.

Le proteste delle comunità locali

Le progressive chiusure degli sportelli bancari hanno scatenato proteste diffuse da parte dei sindaci delle piccole comunità.

Un caso recente è quello di Bobbio Pellice, un piccolo comune della Val Pellice (in provincia di Torino) con meno di 600 abitanti, dove la chiusura dell’unica banca ha provocato una forte reazione. Il sindaco Mauro Vignola, insieme a Uncem, ha chiesto a Intesa Sanpaolo di rivedere la propria decisione, ottenendo almeno la conservazione del bancomat.

Tommaso Cuoretti, sindaco di Londa, poco più di 1800 persone, in provincia di Firenze, nelle scorse settimane si è simbolicamente chiuso all’interno della banca CRF (Cassa di risparmio di Firenze – gruppo Intesa San Paolo), l’unica rimasta nel comune di Londa, per impedirne la chiusura. «Parlare di ripopolamento della montagna è inutile se non si garantiscono i servizi pubblici essenziali» ha spiegato il primo cittadino.

Un altro esempio è quello di Cantoira, nelle Valli di Lanzo (provincia di Torino), dove la decisione dell’Istituto Bancario Intesa San Paolo di chiudere in via definitiva lo sportello locale e l’assenza di un bancomat funzionante sono stati definiti da Roberto Colombero, Presidente di Uncem Piemonte, «un ennesimo schiaffo ai territori montani». Anche qui, l’amministrazione comunale, in collaborazione con Uncem, si è mobilitata contro la scelta della banca, evidenziando l’impatto sul territorio, a prescindere dalle piccole compensazioni proposte, come sei mesi di gratuità sui prelievi presso altri bancomat e l’uso del circuito Mooney, scarsamente diffuso in zona, ritenute del tutto insufficienti. Proprio grazie a questo impegno «siamo riusciti a ottenere il ripristino del bancomat attraverso un’area self-service, che sarà attivata dopo i lavori tecnici necessari – spiega il sindaco Franca Vivenza –. Tuttavia, questo risultato non elimina il disagio che i cittadini dovranno affrontare e ribadiamo con forza la nostra opposizione alla continua riduzione di servizi essenziali nei territori montani, a tutela della comunità e delle sue esigenze».

L’appello delle istituzioni: una questione di civiltà

Di fronte a questa crisi, sindaci e associazioni locali chiedono un intervento immediato della politica: «perdere una banca non significa solo avere difficoltà di accesso al contante, ma mina l’economia locale e compromette lo sviluppo dei territori» spiega ancora il presidente Uncem Marco Bussone. Le banche, quindi, sono chiamate a non perseguire esclusivamente il profitto, a non ignorare il ruolo sociale che dovrebbero avere nei confronti dei piccoli centri e dunque sono invitate a restare per contribuire a mantenere vive le aree interne e scongiurare un esodo delle popolazioni verso le città, un fenomeno che continua a minacciare la tenuta sociale ed economica di molte regioni montane.

L’appello in Piemonte vede in prima linea anche l’assessore regionale alla Montagna Marco Gallo, il quale, di fronte all’annunciata chiusura di altri due sportelli di Intesa Sanpaolo in comuni di montagna, Paesana e Sanfront, in valle Po, nel Saluzzese, ha ribadito che «per qualsiasi progetto di sviluppo delle terre alte è indispensabile non arretrare sui servizi esistenti. È una battaglia di civiltà: se chiude una banca o uno sportello bancomat cade una delle prerogative essenziali a presidio della vita in montagna. Inutile immaginare di migliorare la qualità della vita nelle aree più marginali se poi gli abitanti sono costretti a spostarsi in un altro paese per un banale prelievo di contanti».